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Martedì 13 Gennaio 2026 ore 9.00 Brescia / Via dei Mille posa della pietra d’inciampo dedicata a Raimondo Bertoli morto a Dachau il 21 Marzo 1944.

Sulla figura di Raimondo Bertoli, gli studenti del Clab di storia, con le Prof.sse Fontana e Mazzotti, hanno condotto un lungo e impegnativo lavoro di ricerca per ricostruirne la biografia e le vicende che lo hanno portato, come renitente alla leva e oppositore della RSI, ad essere internato nel block 12/4 del campo di concentramento di Dachau.

Le pietre d’inciampo sono un monumento ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig per tenere viva la memoria delle persone deportate nei campi di sterminio nazisti nel tessuto delle nostre città. Il progetto consiste nell’incorporare dei blocchi quadrati di pietra (10×10 centimetri), ricoperti di ottone lucente, nel selciato stradale davanti alle ultime abitazioni delle vittime della persecuzione fascista e nazista. Un’incisione sulla superficie superiore ne ricorda nome e cognome, data di nascita, data e luogo di deportazione e data di morte, quando conosciuta. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere tutti coloro che si imbattono, anche casualmente, nell’opera.

Camminando le colpiremo con i piedi, ci chineremo per vedere in cosa abbiamo inciampato e ci troveremo di fronte a una nuova storia da conoscere, restituendo così la sua individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero. Le pietre d’inciampo si presentano quindi come piccoli segni quotidiani capaci di riportare la memoria in spazi familiari e attraversati da tutti.

Demnig prepara ogni singola pietra e la interra personalmente, pienamente consapevole della responsabilità che porta: “Sono sempre inorridito ogni volta che incido i nomi, lettera dopo lettera. Ma questo fa parte del progetto, perché così ricordo a me stesso che dietro quel nome c’è un singolo individuo. Si parla di bambini, di uomini, di donne che erano vicini di casa, compagni di scuola, amici e colleghi. E ogni nome evoca per me un’immagine. Vado nel luogo, nella strada, davanti alla casa dove la persona viveva. L’installazione di ogni Stolperstein è un processo doloroso ma anche positivo perché rappresenta un ritorno a casa, almeno della memoria di qualcuno”.

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